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Advertising, i rischi del discount

06/07/2007

Le notizie di alcuni budget vinti dalle agenzie possono nascondere i ‘drammi’ di questo mercato. Come esultare, ad esempio, quando in gioco ci sono 500.000 euro, da spalmare sull’intera strategia globale annuale di un brand, e si fronteggiano dalle 3 alle 5 strutture? Per la vincitrice significa un guadagno di circa 30.000. Insomma, un lavoro in perdita. Senza parlare dei possibili ‘inciuci’. Paolo Spadacini, The Beef, ci spiega il perché del suo no.

Lo sanno tutti. L’era della vacche grasse è finita. Ma da qui a sottoscrivere una logica di mercato non economica, il salto è triplo. Anche perché a complicare la situazione non sono solo le pretese di ‘sconto’ dei clienti, ma anche la trasparenza dell’accesso al new business. 

Come Paolo Spadacini racconta a youmark, infatti, da un lato esiste l’impossibilità di accettare lavori in cui viene chiesto di inventare una strategia in cambio di un compenso ridicolo, passando magari poi a un’agenzia di maggiori dimensioni la realizzazione della campagna (dunque la ‘ciccia’, come si suole dire), dall’altro lo scetticismo verso gare in cui spesso tutto è già deciso.

“L’importante è verificarne la serietà. Partecipiamo solo a gare in cui le realtà in lizza partono alla pari, senza ‘preconcetti’. Mai alle pubbliche. Essendo un’agenzia ‘snella’, poche persone attorno cui ruotano diversi free lance scelti nel mondo sulla base delle caratteristiche dei progetti in esame, non accettiamo lavori in perdita. Unica eccezione il ‘Milan’, per passione personale e perché è uno di quei nomi che ripaga a livello di immagine, soprattutto internazionale”.

La flessibilità è un plus, ma è anche vero che la snellezza della struttura può precludere vantaggiose economie di scala. Non è che il prezzo della vostra scelta finisce per pesare sul cliente?
“Non può esistere una coppia creativa sempre al top. Anche le migliori non riescono a perpetuare campagna dopo campagna lo stesso successo. Senza dimenticare che in Italia i direttori creativi hanno in media una cinquantina d’anni. Noi lavoriamo anche con quelli di 20. Le scelte devono essere tarate sullo specifico progetto. Per quanto riguarda il prezzo pagato dal cliente, poi, non c’è nessuna differenza”.

Il peggior nemico delle campagne contemporanee?
“I test. Tutto viene deciso in loro funzione. Non indirizzano, predispongono. Se hai la fortuna di incontrare un imprenditore illuminato, invece, rischi di fare qualche cosa di divertente”.

Ad esempio la campagna per le Garzantine del 'Corriere', a che numero sono arrivati i testimonial?
“25 e tutti gratis. Da Massimo Cacciari, ‘ignorante in filosofia’, a Don Mazzi che confessa di aver imparato la religione in una Garzantina. Il successo della campagna è provato dal fatto che oggi sono gli stessi personaggi a proporsi come testimonial”.

Quali i prossimi?
“Pippo Baudo, Lina Wertmuller , Michele Mirabella”.


 

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