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Adci/Guastini: succede che a far vincere sia il tiro di uno venuto dalla panchina

07/02/2011

Ma soprattutto perché ama troppo questo lavoro. E crede nel Club, altrimenti ne avrebbe fondato uno da zero. Per lui giuria e fake sono ‘problemi’ che arrivano dal mondo fuori, nell’Adci, oggi, serve soprattutto unione. E’ da qui che si deve ripartire per costruire il dialogo interno, con il mercato, con i clienti, senza dover più ricorrere alle false campagne e affrontando l’Upa anche con i numeri. Senza dimenticare che i creativi italiani possono essere i migliori al mondo.

In attesa dell’esito delle elezioni del nuovo presidente Adci, che si terranno a Milano il prossimo 19 febbraio, youmark ha intervistato Massimo Guastini, a oggi unico candidato ufficiale.

Perché ti candidi?
“Perché amo ancora il mio lavoro. Lo amo a un punto tale da non riuscire più ad assistere al suo degrado. Un degrado visibile a tutti, e non parlo solo della pessima comunicazione che esce ormai in Italia. Questa è una conseguenza. Le cause sono diverse e non hanno a che fare solo con i soldi. Si è degradata la qualità delle relazioni: sia all’interno delle agenzie, sia tra i reparti marketing e i reparti creativi. E l’Adci non è più un club, da troppo tempo.

Siamo tante monadi senza finestre, mancano fiducia e voglia di confrontarsi. C’è paura. Tutta la mia candidatura vuole rappresentare un calcio in faccia alla paura, alla rassegnazione. Ho visto partite di basket cambiare volto per via di un tiro da tre messo dentro da ‘uno venuto dalla panchina’. Il messaggio che sto lanciando pubblicamente a tutto il settore, da quando ho postato il programma nel mio blog, è proprio questo. Un fottuto tiro da tre punti. Azzardato, spericolato, folle magari, ma l’unico segnale di sveglia possibile. Questa candidatura è solo l’ultimo di tanti passi personali iniziati sei anni fa. Al principio ho creato una struttura (cookies adv) con regole diverse, la prima delle quali è la reciprocità di rapporto: all’interno, ma anche all’esterno, con le aziende. Poi ho iniziato a trattare di certi temi nel mio blog (kttb - libero sulla parola). 

E oggi sono qui. Se non altro la mia candidatura sembra avere innescato una discussione. Basta guardare alcuni titoli del numero di youmark uscito lo scorso venerdì. Diciamo che ho agitato acque troppo stagnanti per i miei gusti. Questo è già un ottimo risultato”.

In molti pensano che il Club andrebbe raso al suolo per ricostruirlo. Sei d’accordo?
“Evidentemente no. Non mi sarei candidato alla presidenza Adci e avrei seguito il consiglio che in molti mi hanno dato, anche persone che stimo tantissimo: fonda un nuovo club. Forse ho torto, ma le energie e il tempo dedicati a questa mia ‘follia’sono un prezzo che pago volentieri per ‘vedere’ se la mia idea è corretta. Radere al suolo è una misura estrema che il vero creativo prende raramente in considerazione. Essere creativi richiede necessariamente coraggio. Distruggere è così facile, così banale. Sono capaci tutti”. 

Qual è il tuo parere sugli attuali metodi di selezione della giuria?
“Questa è una domanda facile, me l’hanno fatta in molti. Il primo obiettivo del mio programma è unire. Ritrovare le ragioni che ci devono unire è molto più importante che tornare a parlare di giurie e fake, vale a dire quei dibattiti irrilevanti che hanno separato i soci negli ultimi anni. Al di là delle mie opinioni personali, non ho toccato questi due argomenti. Non sono davvero prioritari. E' il mondo fuori a dirci che non lo sono. Tuttavia, torno a ripetermi, se quella delle giurie dovesse ripresentarsi come issue durante il mio - eventuale - mandato, l’affronterei nel modo più democratico.

Chiederei alle due fazioni - giurie ristrette e giurie allargate - di arrivare a riassumere le rispettive posizioni in una cartella. Darei a entrambi i contenuti lo stesso spazio media di partenza, per esempio il blog Adci, che conto di riaprire. Lascerei un certo periodo per il dibattito e poi inviterei tutti i soci a votare un quesito referendario. La votazione sarebbe online, riservata ai soci e con la garanzia di preservare l’anonimato.

Se sarò il presidente dell’Adci non vorrò schierarmi su questa questione. A me interessa realizzare il programma che ho presentato. Le eventuali ‘distrazioni’ andranno gestite in modo trasparente e non verticistico”.

Altro tema caldo la rappresentatività. Ti ritieni all’altezza di quanto molti si aspettano, più che da te, dal Club, perché torni ad essere rilevante?
“Ho le idee e la determinazione per questo che considero il mio principale commitment. Se sono all’altezza potrò eventualmente dimostrarlo solo una volta eletto e solo se il Club mi sosterrà. Ma questo vale per me come per qualunque altro candidato, indipendentemente dal nome, dai premi vinti o dalla agenzia alle spalle. Il punto non è nemmeno quanto molti si aspettano. Prima di questa mia candidatura non circolavano grandi attese e la discussione verteva, salvo qualche eccezione, sui fake e sulle giurie. Il punto vero è quello che mi aspetto io da me stesso, dai miei consiglieri, dai soci ai quali non ho chiedo solo di votarmi. Chiedo soprattutto l’onesto tentativo di cercare motivazioni più costruttive per restare uniti: l’attuale situazione di mercato la conosciamo tutti. Va affrontata compatti”.


Le false campagne sono diventate l’alibi per non ammettere l’incapacità della creatività italiana?
“Gli italiani sono potenzialmente tra i migliori creativi al mondo. Ne sono straconvinto. Ma penso anche che ci siamo lasciati relegare in un ambito troppo periferico rispetto ai centri di potere. Questo non aiuta ad avere leadership, autorevolezza, rilevanza. Dobbiamo lottare contro questa nostra ‘inerzia centrifuga’. Per troppo tempo ci siamo raccontati che il creativo non ‘si sporca le mani’ con determinati argomenti”.

Se nemmeno le campagna false vincono a Cannes, che si può fare per ridare vigore al comparto?
“Quand’anche le campagne fake vincessero a Cannes sarebbe un vigore ‘wonderbra’. Le menzogne non portano da nessuna parte. I fake hanno anche il problema di disabituare al coraggio di confrontarsi con il marketing, di persuadere le aziende che la cosiddetta creatività è un’arma al servizio della marca. Non dobbiamo chiedere ai clienti di fare uscire un certo annuncio una volta, per vincere un premio. Dobbiamo argomentare perché con quell’idea potrebbero vincere sul mercato.Come ho già detto prima, dobbiamo tornare al centro del confronto, cercare il dialogo con chi lavora nel marketing. Con i nostri clienti. Condividere una lingua comune, senza sudditanze, senza isteriche contrapposizioni, ricordandoci che il primo cliente da persuadere sono loro, ci piaccia o no.

Non deleghiamo più questa parte del lavoro, non speriamo nelle altre associazioni, dobbiamo tornare protagonisti della comunicazione, magari rinunciando a qualche vezzo del passato che ci ha remato contro. Ma secondo me abbiamo imparato la lezione. Siamo pronti per parlare con Upa. Siamo pronti a confrontarci anche sul loro terreno: i numeri. Mi ha fatto molto piacere leggere le dichiarazioni del presidente Sassoli de Bianchi, in particolare la sua affermazione “don’t’ squeeze the supplier”. Non spremere i fornitori. L’etica è sempre un ottimo binario su cui incontrarsi. Se poi sapremo anche meritarci l’etichetta di partner sarà un grande risultato”.

Con chi ti piacerebbe giocarti la presidenza?
“Con chi capiterà quel giorno. Chiunque è meglio che nessuno”.

Se verrai eletto, quando e in seguito a che cosa potrai dire che il tuo mandato è stato un successo?
Potrò dirlo solo il 31 dicembre del 2013. Quattro i ‘se’ 

1) Se il confronto triennale con Upa avrà portato a nuove regole, basate sulla reciprocità. Prima credo dovremo recuperare il rispetto. Tempo fa ho scritto un post rivolto alle aziende, vorrei che Sassoli de Bianchi lo leggesse, mi piacerebbe che il nostro primo eventuale incontro partisse da lì.

2) Se sarò riuscito a portare l’Adci a prendere parte a dibattiti rilevanti nel sociale e pertinenti rispetto al nostro ruolo. Per esempio vorrei il Club si schierasse sull’utilizzo del corpo della donna in pubblicità e in ogni forma di comunicazione, intrattenimento compreso. Il 17 dicembre 2010 ho organizzato una diretta su Reset Radio alla quale ho partecipato con altri
colleghi. Sono intervenuti anche il segretario dello Iap, Vincenzo Guggino, e Lorella Zanardo e ci si è a lungo confrontati su questo tema.

Perché, come ho sostenuto in una recente riunione del Consiglio Direttivo Iap, è molto bello che il Ministro per le Pari Opportunità ci abbia invitato a un protocollo d’intesa sull’argomento. Ma qualcuno dovrebbe ricordare al Ministro Carfagna che la pubblicità, non può superare il 17% all’interno di un’ora. Cosa viene fatto nel restante 83% di tempo? Il Ministro ha in serbo qualche altra manovra più consistente per arginare la quantità di stereotipi sessisti che la tv passa nel suo insieme? Oggi l’Adci non può partecipare a queste riunioni. Non è nello Iap. Io ero presente come rappresentante Tp. Affrontiamo temi rilevanti e acquisteremo rilevanza

3) Se l’Adci sarà diventato un punto di riferimento anche nella formazione, dando a 20 giovani la possibilità di entrare nel nostro settore sulla base del loro talento e non solo grazie alle disponibilità economiche delle loro famiglie. E’ un discorso lungo e complesso, cerco di sintetizzarlo: con le attuali regole non è possible ‘imparare a bottega’ un lavoro che va imparato a bottega. Costerebbe troppo alle agenzie. Così questo costo lo pagano le famiglie, ma solo poche sono in grado di affrontarlo, in un sistema formativo complessivamente inadeguato, che in pochi casi permette il rientro dell’investimento. L’Adci che ho in mente io dovrà attivarsi pubblicamente anche su questo argomento. Torno a ripetermi: affrontiamo temi rilevanti e acquisteremo rilevanza.

4) Se avremo superato quota 300 soci e quelli che ci saranno copriranno tre generazioni professionali, uniti dal sentirsi un Club anziché divisi dall’essere solo un premio.

Tra i ‘nomi’ che non fanno più parte del club, perché da esso delusi, chi più di tutti vorresti tornasse al suo interno?
“Questa domanda è un casino. Sono troppi. Per sintesi ti cito quelli con cui mi sono confrontato. La prima a chiamarmi è stata Annamaria Testa. Un meraviglioso e scintillante fiume in piena.Poi mi hanno risposto tante teste che il Club ha perso per essere divenuto solo un premio: Marco Carnevale, Lele Panzeri, Sandro Baldoni, Alessandro Canale, Alberta Schiatti, Paolo Chiabrando, Grazia Usai, Francesco Emiliani, Stefania Siani, Lorella Montanaro, Riccardo Garavaglia, Francesco Rizzi , Bruno Banone, Giovanni Pagano, Aldo Cernuto e sicuramente dimentico qualcuno.

Se devo farti un nome solo, tra quelli che non mi hanno contattato, direi Agostino Toscana”.

Molti dicono di non poter esprimere un giudizio sulla tua candidatura perché non ti conoscono. Ti offende?
No, perché dovrebbe? In molti mi hanno chiamato o scritto proprio per conoscermi. La trovo una cosa normale. C’è anche chi mi ha chiesto data, luogo e ora di nascita mandandomi poi il tema natale.Non male.

Sono sempre stato un indipendente con una certa insofferenza a lasciarmi inquadrare. Credo di avere tendenze anarchiche, anche dal punto di vista spirituale. Le mie amicizie sono tutte in altri ambiti, a parte pochissime eccezioni. Per quanto riguarda l’aspetto professionale ho molto trascurato le ‘relazioni interne’. Però, due dei copywriter che ho amato di più mi hanno espresso pubblicamente la loro stima. Il primo è stato Enzo Baldoni, conservo ancora le sue e-mail. Il secondo è stato Pasquale Barbella. Recentemente mi ha definito un eccellente copywriter. Sono questi i miei due leoni d’oro. E non li baratterei con quelli di Cannes. Nessun creativo vero lo farebbe”.

Nel corso della tua vita professionale ti sei trovato un sassolino nella scarpa che non sei ancora riuscito a togliere e vorresti farlo ora?
“Mi sono imposto la regola di rispondere con la massima onestà a tutte le interviste. Questa è l’unica domanda che mi mette in difficoltà. Non posso essere del tutto trasparente perché non vorrei che la mia risposta fosse intesa in chiave di campagna elettorale. Ti dico solo questo: sono undici anni che mi chiedo se ho fatto un errore e, di conseguenza, se dovrei chiedere scusa a una persona. 

Un giorno la chiamerò, anche se credo abbia un pessimo carattere. Ma lo faro solo quando questa avventura elettorale sarà conclusa, comunque finisca”.

 

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