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Mainardo de Nardis/OMD: evviva i rompiscatole, altrimenti non cambia niente

05/03/2009

Il centro media non esiste più. Oggi è agenzia. Gli italiani che valgono all’estero sono moltissimi, ma in comunicazione pochi. Con la nostra a peccare in professionalità, credibilità, rispetto. Mainardo de Nardis, da oggi ceo OMD Worldwide, confida a youmark che dell’Italia ormai sa poco o nulla, invitando i personaggi di peso nostrani a farsi avanti, impegnandosi in maniera aperta, ma anche controversa.

Il nuovo ruolo del centro media. Tra le concessionarie che si organizzano per bypassare l’intermediazione e i cambiamenti in corso nel sistema comunicazione, come si deve ripensare e riorganizzare il centro media per esserci in modo forte nel prossimo futuro?
“Iniziamo a non chiamarli più centri media, termine peraltro scomparso da quasi tutti i mercati nel mondo. Per identificarli meglio, osserviamo cosa fanno. Sto facendo un discorso generale, non sul solo mercato italiano, che purtroppo non conosco nemmeno più cosi bene. Si tratta di agenzie che si occupano di comunicazione integrata e l’intermediazione ne è solo un aspetto, da inserirsi nella più complessa gestione della relazione tra brand e consumer. Nel mondo anglosassone si chiamano 'media communication agencies', o in forma breve 'media agencies’. A mio parere ci sono cinque aree che definiscono l'unicità dell'approccio strategico di queste agenzie consentendo loro un vero valore aggiunto:
1. massima conoscenza del consumatore (più di chiunque altro)
2. misurabilità (di tutto)
3. ritorno degli investimenti
4. media neutrality (tra piattaforme, digitale e analogico, on-screen e Ooh, etc)
5. implementation (qualunque idea o programma non implementato ... resta solo un'idea)”

Sei il primo italiano ad avere un ruolo internazionale così di spicco. Cos’è che ha fatto la differenza, cosa ha già comportato e comporterà in futuro per OMD la tua nomina, attiva da oggi?
“Il mondo è pieno di italiani in ruoli di leadership all'estero, ma purtroppo, come dici tu, pochini nel mondo delle agenzie. Molti dei miei clienti a Los Angeles come a Shanghai sono però italiani e spesso ci siamo domandati il perché di questa assenza nel mondo della comunicazione. Mi spiace essere brutale, ma le risposte si trovano nel provincialismo del settore, nella mancanza di training specifico e continuo, nell'assenza di incentivazione a passare lunghi periodi all'estero, per finire con i soliti problemi linguistici. Comunque, altri settori ce l'hanno fatta, basta vedere la quantità di avvocati e banchieri italiani a Londra o NY, nel settore della moda e dei luxury goods a Parigi, Ginevra o Hong Kong, nei settori ad alta tecnologia, nel trading e nella grande distribuzione. Sono arrivato in OMD il 5 marzo e tra una settimana mi sposto da Londra, dove sono stato sedici anni, a NY. E' un po' presto per discutere cosa la mia nomina comporterà, ma ti anticipo che tra le mie priorità ci sono certamente la ricerca delle persone migliori (siamo un people-business o no?), il training, la costruzione, non tanto di un network, ma di un'unica agenzia che lavori collegialmente in 90 paesi, condividendo intelligenza ed esperienza. Credo molto nella passione e nella creatività, due aree in cui OMD da sempre eccelle”.

Il tuo nome è tra i relatori del summit Upa-AssoComunicazione, al via questo 11 marzo a Roma. In tutta onestà, forse l’unico italiano di peso portavoce del mondo della comunicazione. Non pensi che l’Italia dovrebbe far parlare chi il paese lo conosce e chi può effettivamente fare qualche cosa perché si superi la crisi?
“Non lo sapevo, e se fosse così me ne dispiaccio. Certamente dovrebbero essere degli italiani a parlare dell'Italia e di come approcciare questa crisi che ci circonda. Io, oltretutto, ormai faccio parte della categoria internazionale e, lingua a parte, il paese e i suoi veri problemi purtroppo li conosco poco. Ci sarebbe però una lunga lista di italiani di prestigio che senza tanti peli sulla lingua sarebbero capacissimi di approcciare questi temi in maniera aperta e magari anche un po' controversa. Mi auguro che queste persone siano a Roma al summit”.

Un uomo come Marco Benatti, oggi fuori dal coro, lamenta l’assenza delle istituzioni al tavolo della discussione. Come dire, AssoComunicazione non svolge il suo ruolo di interlocutore pro mercato. Concordi?
“Non sono qualificato a rispondere, mi dispiace. Però conoscendo Benatti bene e da più di venti anni. Siamo anche stati a lungo partner, amici, nemici, di nuovo amici. Direi che fuori dal coro lui lo sia sempre stato. Marco ha sempre avuto sia una gran visione sia la capacità di innovare. Da entusiasta, è sempre stato anche un gran trascinatore. Spero sinceramente di vederlo a Roma, magari la sua franchezza non lo aiuterà a farsi degli amici. Ho visto la sua intervista sul ritorno al Medioevo, ma in momenti come questo ce n'è proprio bisogno. Evviva i rompiscatole, altrimenti non cambia mai niente”.

Cos’è che la comunicazione all’estero ha che noi no?
“Professionalità. Credibilità. Rispetto”.

E’ finita l’era del superprofitto, del finanziario padrone?
“Se intendi con questo un periodo dove il valore aggiunto è stato poco misurabile, dove gli azionisti venivano dopo le necessità dei manager, dove gli eccessi sono diventati virtù, direi che probabilmente è finito. E non credo proprio che ci mancherà”.

I grandi budget sembrano ragionare in ottica di concentrazione su un’unica sigla. Lo ha fatto, a vostro favore Renault, lo hanno fatto di recente anche altri scegliendo di appoggiarsi a un unico centro media o allineando gli investimenti in un solo network. Quanto queste decisioni, soprattutto in un periodo di recessione, possono mettere in crisi le casse di un ‘grande’ centro media. E’ possibile in qualche modo limitare il trend o si tratta di un'inevitabile evoluzione da parte dei clienti alla ricerca di risparmio e ottimizzazione delle risorse? L’impressione è che scelte di questo tipo vadano oltre le capacità dimostrate in campo e rispondano più a logiche economiche. Sei d’accordo?
“No. Il consolidamento è un fenomeno perlomeno decennale e non mi pare che gli ultimi dodici mesi abbiamo visto un'accelerazione. Non credo neanche sia dettato da logiche puramente economiche.
I veri grandi clienti, quelli con brand presenti su molti mercati, hanno bisogno di veri partner nelle agenzie di comunicazione. Hanno bisogno di garanzie di servizio a livello mondiale, di un team dove le informazioni e le esperienze circolano tra paesi diversi, di stimoli e investimenti che solo un rapporto di lungo termine, e a un livello senior, può garantire. Questo è un trend consolidato che dubito possa cambiare. Detto questo, non ho dubbi che tanti clienti continueranno a sperimentare con agenzie locali, più piccole e più agili, spesso capaci di grande innovazione. Se usciamo dalla lista dei pochi grandi clienti, vediamo molta più flessibilità nel modello organizzativo. Credo sia un bene per tutti, mantenendo più stimoli e competizione in un mercato dove, altrimenti, cinque capitali al mondo avrebbero il monopolio della strategia e gli altri solo dell'esecuzione”.

 

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