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Marco Fanfani
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Marco Fanfani, TBWA\Italia: non siamo solo degli ‘adattatori’

28/06/2007

Reinterpretare la comunicazione che arriva dall’estero richiede comunque talento e sensibilità professionale. Il semplice copia e incolla non è sufficiente. Ma la capacità di una sigla internazionale di essere protagonista sul mercato si misura con le acquisizioni locali. Anche vincendo gare a volte contestate. Lo racconta a youmark Marco Fanfani,  ceo e ad Tbwa\Italia.

Nel contesto pubblicitario italiano alcuni problemi, ad esempio fee alle agenzie sempre più bassi e difficoltà di applicare regole certe per le gare, continuano a persistere. Confrontandosi con i suoi colleghi d’oltre confine, può affermare che oggi tutto il mondo è paese, o è l'Italia a essere 'irriducibile'?
“Il trend di diminuzione dei fee o delle percentuali è generalizzato anche se aumenta la base su cui è applicato. In Italia ci siamo portati avanti con il programma e di molto, purtroppo, e il fenomeno supera largamente la logica dell’aumento della ‘base’ con grave ripercussione sul livello delle remunerazioni e, di conseguenza, sull’attrattività dei nostri mestieri. In ultima analisi, sulla qualità del servizio. Una leadership, quella del ribasso, di cui avremmo fatto volentieri a meno”.

Focalizzando l’attenzione sulle gare, la vostra agenzia è stata diverse volte additata come quella che accetta condizioni a detta di altri, in quelle particolari occasioni, inaccettabili. Non trova che ci sia una certa ipocrisia nel settore?
“Il caso è stato quello delle Ferrovie. Io mi auguro che tutti quelli che ci ‘additano’ abbiano tutti i loro contratti, sia in termini di valore assoluto che di percentuale di profittabilità, in linea con quanto da noi accettato per Ferrovie. Siccome sono certo che così non è, credo che le ‘travi e le pagliuzze’ della parabola evangelica ben si adattino ad alcuni protagonisti del nostro settore”.

Ritiene soddisfacente il documento stilato, con una certa fatica, da Assocomunicazione per stabilire regole minime in fatto di partecipazione alle gare? E’ vincolante? Ha fiducia nel fatto che tutte le associate lo rispettino?
“Per quanto riguarda noi è vincolante e infatti fino ad oggi non abbiamo mai derogato. Mi sembra un’ottima piattaforma e spero venga mantenuta e rispettata”.

Cosa distingue realmente un’agenzia di pubblicità dall’altra? E cosa conta secondo lei di più al giorno d’oggi? Creatività? capacità strategica? Possibilità di sviluppare campagne realmente integrate?
“Poche agenzie hanno effettivamente un Dna in grado di differenziarle. Noi di Tbwa abbiamo la Disruption che si è dimostrata straordinariamente efficace nell’aiutarci ad avere successo in modo distintivo. Poi ovviamente i manager delle varie agenzie influenzano la personalità dell’agenzia stessa. Per quanto ci riguarda abbiamo lavorato, e stiamo lavorando, per essere in grado di offrire ai nostri clienti una ‘cabina di regia’ per le loro attività di comunicazione da un lato e società operative in grado di offrire l’applicazione dell’impostazione strategica concordata alle varie discipline dall’altro. Il gruppo Tbwa oggi ha in casa, cioè vivono nello stesso palazzo, sia la capacità di regia, sia le società operative (Ageny.com, Tequila, Industrial Strange, ecc.)".

I centri media italiani sono al passo con i tempi?
“I centri media non sono tutti uguali, alcuni sicuramente sì altri un po meno”.

Qual è fra le vostre più recenti campagne quella di cui va più orgoglioso? Perché?
“Ogni scarrafone è bello a mamma sua! Quindi francamente credo di essere orgoglioso di tutto ciò che abbiamo fatto recentemente, da Bnl a McDonald’s, da Casa Modena a Agip e via discorrendo. Se proprio devo spezzare una mezza lancia, è a favore di Eni 30% per il contenuto sociale, la creatività a 360 gradi e la differenza rispetto al panorama”.

Il vostro cliente ideale?
“Ovviamente non farò mai nomi, però fra i nostri, il numero di clienti con i quali ci fa piacere avere a che fare è piuttosto alto. Il discrimine fra buoni e cattivi clienti è un discrimine più ‘umano’ che economico o metodologico. E si chiama rispetto, rispetto del lavoro altrui”.

Le sigle nazionali sottolineano come voi multinazionali ultimamente diate visibilità sulla stampa a campagne che, in pratica, vengono solo tradotte, con sforzi creativi minimi e senza una reale capacità di fare new business a monte. Cosa replica?
“Prima di tutto anche adattare della comunicazione non è solo una banale opera di traduzione. Secondo, onestamente la percentuale di clienti locali, acquisiti localmente, del nostro fatturato è attorno al 50%. Quindi mi sembra che siamo discretamente abili anche nel new business locale e non è colpa nostra se una percentuale rilevante del nostro settore è fatta da multinazionali e se l’unica agenzia locale fra le prime 15 sia da perlomeno 20 anni a questa parte Armando Testa. Anzi, ricordando i tempi della Tonic, ho una grande simpatia per le realtà locali che provano ad emergere come per esempio Stv, ma sono appunto pochissime”.

La capacità di una sigla internazionale nel contesto locale si misura sulla base dei clienti nazionali che gestisce?
“Sicuramente la capacità di attrarre business locale è un parametro importante perché testimonia un ideale equilibrio tra Dna internazionale e capacità/personalità locale”.

 

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