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web/Dalla comunicazione di massa alla collaborazione di massa

18/06/2007

In altre parole, il crowdsourcing. Cioè quella forma spontanea di aggregazione collaborativa che consente a molti utenti di interagire fra loro per conseguire un obiettivo comune, ognuno portando il suo contributo individuale. 

Di Maurizio Sala, vicepresidente Gruppo Armando Testa, condirettore creativo Testaweb
Wikipedia è forse l’esempio più eclatante di questo fenomeno. Centinaia di migliaia di individui di etnia, età, sesso e censo differenti che senza conoscersi redigono voce dopo voce un’enciclopedia affidabile tanto quanto la Britannica. Non è poco. L’articolo sul Crowdsourcing che troverete nel link alla fine di questo articolo affronta il fenomeno elencando altre tipologie di crowdsourcing oggi operative in rete. 

Indica, inoltre, le tre categorie base di interazione possibile secondo questo modello: creazione (Wikipedia), previsione di fatti e/o dati (Yahoo Buzz), organizzazione (i ranking di Google stabiliti in base al numero di link alle singole pagine). E’ interessante riflettere su questa tensione del pubblico perché è senza dubbio una pulsione spontanea e creativa (le persone di loro iniziativa creano qualcosa che prima non c’era), che genera una dinamica fattuale (concorre a un risultato pratico), applicata alla realtà (affronta una tematica concreta, qualunque essa sia). 

Sono tutti elementi nuovi, se pensiamo che si viene da un mondo, quello della comunicazione classica, in cui ogni comportamento non è spontaneo ma viene stimolato (messaggio) ai fini di un atto razionale (acquisto) e non creativo, senza che all’utente venga chiesto niente altro. In altre parole, e nella maggior parte dei casi, la vecchia modalità chiede alle persone di propendere per una compera. Fine. 

Cosa esse pensano, cosa vorrebbero, quali cose amano e quali no, ecc. ecc., sono elementi non richiesti. E’ evidente, a questo punto, che ragionare in termini di Crowdsourcing anche per obiettivi aziendali e/o di comunicazione libererebbe nuove energie del pubblico. Creerebbe nuove forme di empatia marca-consumatore che, senza dubbio, lo gratificherebbero molto generando inedite forme di fedeltà alla brand

Addirittura di collaborazione con questa. Certo, il passo da compiere è sempre lo stesso: scendere a un livello paritetico con i propri consumatori, e non restare limitati a un dialogo dall’alto in basso come succede oggi con l’advertising classico. Passo non facile da compiere per molte aziende di questo Paese. Timore del confronto, perplessità di gestione dei feedback, le ragioni sono tante. Davanti a tante possibili obiezioni, metto invece un motivo per farlo. Immaginate migliaia di persone che oltre che comprare il prodotto lo commentano, ne evidenziano fatti positivi, sottolineano aspetti migliorativi, magari proponendo essi stessi le soluzioni

Un salto copernicano rispetto all’oggi. C’è qualcosa di questo nell sito della nuova Fiat 500 (www.fiat500.com), quando chiede agli utenti di lavorare sulla personalizzazione della vettura. E ci sono altri casi molto più completi di crowdsourcing, in cui le aziende hanno creato terreni di scambio col proprio pubblico godendone innumerevoli benefici sia di immagine che di popolarità, che di risultati pratici. Le possibilità operative per un’azienda che volesse aprirsi a queste modalità risiedono nelle tre tipologie di Crowdsourcing elencate sopra: Creazione, Previsione di fatti e/o dati, Organizzazione. 

Su queste basi le possibilità sono davvero tante. Il percorso di apertura verso una 
piena collaborazione col proprio pubblico può essere graduale, anzi deve esserlo. E spesso e volentieri quelle che all’inizio sembrano rischi insormontabili scompaiono rapidamente in corso d’opera. Il motivo è semplice: la gente ama le marche. E ama esserne coinvolta. Sono le marche, a volte, a non rendersi conto di questo grande potenziale. (www.readwriteweb.com/archives/crowdsourcing_million_heads.php)

 

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